Torre del Greco – La villa “del Cardinale”, di proprietà della Curia di Napoli, è da troppo tempo in condizioni di vergognoso degrado e totale abbandono, nonché di evidente pericolo per frequenti crolli. Un cattivo stato dei luoghi inaccettabile che non può protrarsi oltre. Davanti a questo scempio si auspica una urgente riqualificazione del palazzo che potrebbe accogliere un Centro di assistenza sociale, ricettiva e culturale per i poveri e gli anziani. Si sollecita, pertanto, un intervento immediato e concreto da parte di Domenico Battaglia, arcivescovo metropolita di Napoli. Anche l’Amministrazione comunale torrese e gli uffici preposti, unitamente alla Soprintendenza alle Belle Arti di Napoli, dovrebbero verificare le procedure da attuare, affinché siano assicurate l’incolumità pubblica e privata, nonché la conservazione e la tutela di un bene di tale pregio. Bisogna assolutamente ristrutturare e valorizzare uno dei gioielli più pregiati del “Miglio d’Oro”. La bella villa, realizzata nel 1744 per uso personale dall’architetto Gennaro De Laurentis lungo la celeberrima strada Regia delle Calabrie, oggi Via Purgatorio, nel 1746 è stata acquisita dall’allora arcivescovo di Napoli, cardinale Giuseppe Spinelli, da cui scaturisce il nome, come dimora estiva per sé e per i suoi successori. Nel tempo lo stabile ha ospitato: la Scuola Apostolica per la formazione di vocazioni sacerdotali, la comunità di recupero “La Tenda” per tossicodipendenti, rassegne teatrali, concerti e mostre, per poi cadere in un indicibile oblio. L’intera struttura, a seguito di un perdurante disinteresse da parte della Curia (e non solo) è in una profonda agonia. Il palazzo, che in passato ha già subito un crollo di una parte del sottotetto in tegole e della struttura in legno, versa in un profondo depauperamento: la facciata centrale e quelle laterali, adornate da elementi classici sono in disgregazione, altrettanto i bellissimi balconi, con ringhiere in ferro battuto, in dissesto e arrugginiti, i finestroni hanno vetri rotti o privi di infissi. Sovente, davanti alla villa sono visibili pietre, frammenti di laterizi e marmo, misto al guano di piccioni che numerosi vi abitano all’interno e lungo i cornicioni. Anche la deliziosa edicola con la statua di San Gennaro benedicente risulta sempre più precaria. Il santo, frequente nelle ville dell’epoca, in questo caso, ha una peculiarità: lo sguardo verso Pozzuoli e non sul Vesuvio. Manca dalla facciata l’imponente stemma cardinalizio in marmo bianco sopra la volta del maestoso portone in legno, incorniciato da un ampio arco di piperno, trafugato anni fa, nella più totale indifferenza. E che dire degli interni, se non una meraviglia ammaliante nonostante il grave degrado, che ancora rievoca una straordinaria bellezza, come dimostrano le rampe di scale che conducono ai piani superiori, dove gli immensi ambienti, benché offesi dai ripetuti crolli e calcinacci, richiamano tuttora l’antico sfarzo settecentesco. Va menzionato un vasto cortile sul lato che guarda il “formidabil monte”, con alberi secolari, una grande fontana sormontata da una edicola in piperno e marmo, al cui centro domina la statua dell’Immacolata. Questa è la triste realtà in cui appare la settecentesca dimora che si affaccia e guarda il golfo di Napoli grazie al “servitus altius non tollendi”, ovvero, di non poter costruire oltre una certa altezza, da parte del proprietario di un fondo servente nei confronti di un fondo dominante. Un obbligo di singolare rilevanza per dare lustro ad un palazzo di particolare bellezza scenografica. Oggi, purtroppo, “la realtà è (a dir poco) scadente”, per dirla come afferma il giovane protagonista Paolo-Fabietto nell’autobiografico film “È stata la mano di Dio” del 2021 di Sorrentino. Ricordo che l’onirica scena iniziale, tra sacro e profano, è stata girata all’interno dello stupendo salone della villa. Nella ripresa vediamo un pavimento devastato, con al centro un enorme lampadario crollato che illumina appena i malridotti stucchi, le precarie pareti e le annerite volte affrescate dai fratelli Giuseppe e Gaetano Magri, eccellenti pittori napoletani molto cari a Luigi Vanvitelli, uno dei più apprezzati architetti tra il barocco e il classicismo, autore della reggia di Caserta. In quei tempi, lungo il tratto che va da Napoli a Torre del Greco, si ammirava un eccezionale patrimonio architettonico di rara bellezza, pari a quello realizzato nel Cinquecento con le ville Palladiane nell’allora Repubblica di Venezia. La committenza, per l’edificazione delle splendide dimore erano di ricchi aristocratici, esponenti dell’alta borghesia e di facoltosi ecclesiastici che affidavano i progetti ai massimi architetti del ‘700, tra cui spiccavano, oltre Vanvitelli, Giovanni Martino Buonocore, Ferdinando Fuga, Ferdinando San Felice, Niccolò Tagliacozzi Canale, Domenico Antonio Vaccaro, Luca e Bartolomeo Vecchione. Altri tempi, oggi solo incuria e degrado. Antonio Borriello