Si è tenuto, con circa 600 partecipanti, il primo incontro del percorso base Minori e persone vulnerabili: tutela, ascolto e prevenzione promosso dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli – sezione San Tommaso d’Aquino (PFTIM) e dall’Università Giustino Fortunato, in collaborazione con il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli e con il Servizio Nazionale per gli Studi superiori di Teologia e Scienze religiose della Conferenza Episcopale Italiana.

Dopo i saluti del Rettore Unifortunato, Giuseppe Acocella, e del Decano della PFTIM, Don Francesco Asti, i lavori sono stati introdotti da Paolo Palumbo, docente straordinario di diritto ecclesiastico e canonico presso l’Università Giustino Fortunato, e da monsignor Antonio Foderaro, direttore del Dipartimento di diritto canonico della PFTIM.

La prima relazione è stata tenuta da Elvira Martini, docente associato di sociologia generale presso l’Unifortunato, che ha illustrato il contesto di riferimento in cui si inserisce la riflessione che ispira il percorso base: contribuire a promuovere un dibattito ragionato e informato sul tema della tutela dei minori.

«Tutelare i minori, garantirne i diritti, rispettarne la dignità – ha affermato la professoressa Martini – significa sostenere la responsabilità educativa delle famiglie e della scuola nonché approcciare con tatto a quel disagio, tipico dell’età evolutiva, che troppe volte compromette la serenità e le scelte di bambini e adolescenti.

Nessuna strategia, norma o intervento ha senso se non diventa l’espressione di un’esigenza morale seria e determinata e “mettere il minore al centro” significa renderlo soggetto attivo di una relazione di accompagnamento, di cura, di consapevolezza di sé e del proprio ruolo nel mondo».

L’intervento della sociologa Rosa Vieni e della psicologa e psicoterapeuta Celeste Giordano ha invitato a diverse riflessioni inerenti ai fenomeni adolescenziali che vanno dal bullismo alla delinquenza minorile.

Si è sottolineato che le condotte violente dei ragazzi in branco vanno lette tenendo presente un modello complesso che tenga conto del contesto sociale in cui si radicano e della famiglia in cui si cresce, nonché degli aspetti psicologici individuali.

«Difatti tali condotte – è stato chiarito dalle due relatrici – non sono un fenomeno sociopsicologico avulso dal contesto sociale, ma denunciano un’evoluzione collettiva verso modelli relazionali primitivi, basati cioè sull’espressione di una forma primitiva di violenza.

L’eccessivo narcisismo, l’onnipotenza, l’egoismo, la trasgressione ad ogni costo, il protagonismo, l’aggressività che caratterizzano il comportamento e gli agiti del corpo sociale a discapito dell’interesse pubblico sono un tratto caratteristico dell’Italia e più in generale della società postmoderna».

Nel corso dell’incontro di formazione, è stato anche presentato il lavoro che le relatrici hanno svolto con gli adolescenti in un Istituto Penale, finalizzato a modificare un assetto primitivo tipo “branco” assunto inconsapevolmente dai ragazzi per dare vita ad un comportamento di tipo evolutivo, definito “gruppo”.

Infine, Giovanni Tagliaferro, docente di psicologia delle dipendenze presso l’Unifortunato e docente stabile di psicologia presso l’ISSR di Benevento, ha ricordato come i ragazzi, oggi più di ieri, siano carichi di problemi e come questa sia sì un’emergenza, ma anche, purtroppo, una condizione strutturale del nostro tempo. «Il disagio – ha spiegato Tagliaferro – è l’incapacità di stare nella realtà. Educare oggi è capire il contesto.

È importante chiedersi dove vivono i nostri ragazzi.

Il loro tempo, la loro cultura, non sono quelli in cui abbiamo vissuto noi». Anche in questo caso, capire e partire dal contesto sociale è molto importante, per non sentirsi falliti in partenza, per non essere impreparati, ma soprattutto per non lasciare orfani, da un punto di vista educativo, i nostri ragazzi.

«Dobbiamo ritenerci fortunati – ha concluso il docente – di essere custodi di tutto il potenziale che i nostri ragazzi ci consegnano: sono un seme di un qualcosa di grande che diventeranno.

E noi siamo testimoni, stimolatori, accompagnatori, responsabili.

Dobbiamo essere i coach della loro unicità, rifuggendo dall’omologarli, per questo dobbiamo dire ai nostri ragazzi: “Vai beni così come sei”».