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A large cargo container ship out to sea.

Il Governo ha deciso di salvare il trasporto aereo e affondare quello marittimo, assumendosi una grave responsabilità in un Paese al centro del Mediterraneo, dove un sesto della popolazione vive su isole e il 90% della produzione di merci dipende dal trasporto marittimo per l’approvvigionamento delle materie prime o per la distribuzione del prodotto finito.

Nell’ultima versione del Decreto Rilancio, infatti, all’art. 201 è previsto un fondo di 150 milioni per la compensazione dei danni subiti dalle compagnie aeree nazionali per effetto della riduzione del numero dei passeggeri trasportati durante la fase di emergenza da Coronavirus e all’art. 206 è previsto un fondo di 3 miliardi di euro per la costituzione di una nuova compagnia di bandiera. Per le compagnie di navigazione, che i passeggeri proprio non li possono tuttora imbarcare, non è stato invece previsto alcun indennizzo o aiuto, se si esclude la sospensione della tassa di ancoraggio. Altro che sostenere le attività marittime e impedire il tracollo di un settore strategico dell’economia nazionale e l’immediata cancellazione di migliaia di posti di lavoro, come il Governo aveva assicurato di voler fare.

A lanciare nuovamente l’allarme è ASSARMATORI, che denuncia come “la gravità della situazione non sia stata colta a fondo visto che dopo oltre due mesi di lockdown il cluster marittimo, componente fondamentale della catena logistica che tiene in piedi il Paese, è allo stremo per le conseguenze della pandemia”.  In ballo non c’è solo il destino delle imprese armatoriali che garantiscono una rete di collegamenti essenziali, ma anche migliaia di posti di lavoro di marittimi italiani.

Il settore crocieristico, che secondo le previsioni di fine 2019 quest’anno si sarebbe dovuto avviare a superare ogni record precedente, con oltre 13 milioni di passeggeri in Italia, tra imbarchi, sbarchi e transiti, è interamente fermo. E in Italia la situazione è ancora più grave perché le compagnie che hanno assicurato finora tali volumi (e che per l’80% sono aziende internazionali), non solo devono far fronte alle difficoltà di rientro dei marittimi nelle loro nazioni di provenienza per i divieti posti dai vari Governi (in tutto il mondo sono 100 mila i marittimi bloccati sulle navi per questo motivo), ma non possono nemmeno attraccare nei porti italiani per mettere le navi in disarmo, a causa di un’inspiegabile blocco imposto con i decreti emergenziali.  Una scelta tanto miope quanto autolesionista: tenere lontano in un momento così critico chi ha garantito in questi anni la crescita più consistente degli incassi turistici non è certo prova di lungimiranza.

Non va meglio al cabotaggio nazionale di trasporto merci e passeggeri: i traghetti che collegano i principali porti nazionali e in particolare le isole maggiori e minori e le navi impegnate sulle Autostrade del Mare, continuano a viaggiare per consentire il trasporto delle merci, indispensabile per gli approvvigionamenti e per garantire la continuazione di attività economiche e industriali vitali, ma i costi ingenti di questi servizi, essenziali per il Paese,  non vengono minimamente compensati dai ricavi mancando completamente la componente del traffico passeggeri. E non fa prevedere miglioramenti la prospettiva di dover viaggiare al 50-60% (e forse anche meno) della disponibilità dei posti anche dopo la fine del lockdown, per poter garantire il distanziamento fisico che giustamente dovrà rimanere in vigore fino al completo debellamento della pandemia e per cui le aziende armatoriali hanno già adottato tutti i protocolli. Dalle analisi effettuate dalle compagnie armatoriali risulta, infatti, che mentre i ricavi caleranno per oltre la metà (il calo attuale è superiore al 90%) i costi fissi e variabili non potranno che scendere di un quarto o poco più, condizioni che rendono impossibile qualsiasi ipotesi di continuità aziendale. Tanto più se anche per le compagnie di navigazione, come per le altre aziende “capital and labour intensive”, l’accesso alla liquidità con garanzie pubbliche resta al momento solo un’illusione.

Quanto al traffico internazionale di container e rinfuse, le navi continuano ad essere rallentate dalle diverse e spesso contrastanti misure di contenimento decise dalle varie autorità nazionali e di numerosi altri Paesi. Di conseguenza il calo dell’attività nei porti italiani supera il 30%, ma le previsioni sono di ulteriori peggioramenti per il prossimo futuro.

Per reggere questa situazione di autentica calamità ASSARMATORI, insieme a Conftrasporto a cui aderisce e alle altre Associazioni del cluster, ha chiesto misure specifiche di sostegno per le imprese e i lavoratori analoghe a quelle previste per il trasporto aereo fin dal primo Decreto Cura Italia di metà marzo. “Misure che dovranno aiutare l’intero impianto del trasporto marittimo e passeggeri in particolare, a garanzia della più grande popolazione insulare d’Europa. Ma finora, al di là di rassicurazioni e impegni verbali, non si è visto nulla di concreto. E il tempo sta scadendo facendo emergere i confini di una crisi sistemica che, per un Paese che dipende in modo così evidente dal trasporto marittimo, è destinata ad assumere le caratteristiche di un vero e proprio suicidio collettivo”.

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