Un presepe Napoletano in una delle più belle chiese di Roma. A realizzare l’opera, dando lustro alla nostra cultura artistica, il maestro torrese Aniello Gaudino.

L’artista, dopo la realizzazione negli anni passati di una prestigiosa opera per il Campidoglio e la partecipazione in diverse esposizioni capitoline, ritorna nella Città Eterna.

L’arte presepiale torrese approda stavolta nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella, tradizionalmente detta Chiesa Nuova, pregevole per le sue ricche decorazioni barocche e perché custodisce le spoglie di San Filippo Neri, fondatore degli Oratoriani.

L’opera, promossa da padre Simone Raponi della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, è stata benedetta lo scorso venerdi 9 dicembre dal cardinale Dominique Mamberti, Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica. Nella più autentica tradizione filippina, l’evento è stato accompagnato da un concerto, diretto dal maestro Valerio Losito, con la partecipazione del soprano Arianna Vendittelli.

Il presepe, esposto nella Cappella della Natività, con i suoi oltre 40 personaggi realizzati tutti secondo la tecnica artigianale del 700 napoletano: testa in terracotta policroma, occhi di vetro, arti in legno, vestiti in seta, nelle sue fattezze presenta i simboli legati alla vita oratoriana. L’ambientazione classicheggiante con le rovine di un tempio pagano in rovina, segno dell’umanità decaduta nonché simbolo della vittoria del Cristianesimo sugli antichi culti, ospita la Natività, posta al vertice del cammino ascensionale che tutti i personaggi del presepe compiono in direzione di Gesù Bambino.

Mossa dall’annuncio festoso degli angeli – «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2, 10-11) –, l’umanità intera è destinataria del messaggio universale di salvezza. Così a dirigersi verso Cristo, Luce delle Genti, sono non solo i pastori, raggiunti dalla grazia dell’annuncio nello svolgimento delle proprie umili attività quotidiane, ma anche i Re Magi, che, giunti alla mangiatoia con la guida dalla stella, si prostrano ai piedi del Re dell’Universo accompagnati dal tripudio fastoso del loro corteo, composto dai suonatori con i loro abiti colorati e dalla nobile figura femminile cosiddetta «Georgiana».
L’esuberanza del corteo degli orientali trasmette la grande gioia del Messia atteso e trovato. Non c’è più alcuna distanza tra l’evento che si compie nel presepe e quanti nel corso della storia sono divenuti partecipi del mistero dell’Incarnazione.

La presenza dei tre personaggi oratoriani – san Filippo Neri, fondatore della Congregazione dell’Oratorio, san John Henry Newman, tra i più grandi teologi del XIX secolo, il venerabile Cesare Baronio, padre della storia ecclesiastica –; i dettagli ambientali – l’edicola con la Madonna Vallicelliana –; gli attributi iconografici filippini portati dagli angeli – il cuore fiammante e il giglio –; segnano non solo il legame tra il presepe e il luogo per il quale è stato pensato e realizzato, ma soprattutto l’appello della spiritualità oratoriana a seguire Cristo nell’umiltà, nella carità e nella letizia. Nel mondo nuovo inaugurato dal Verbo di Dio incarnato c’è spazio per tutto ciò che è umano e per l’originalità di ogni creatura, come comprese bene san Filippo nella promozione della ricchezza dell’individuo nell’amore, nella gioia e nella libertà.

Fedele alla classica poetica napoletana, improntata a uno sfarzoso “horror vacui” tipicamente barocco, il presepe nella teatralità del movimento, nella cura dei dettagli, nella caratterizzazione dei personaggi, invita a immergersi nella bellezza salvifica sognata dal pastore dormiente nella grotta sotto la Natività. Quel Benino che, secondo la tradizione napoletana, sta sognando proprio il presepe.

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